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IL MECCANICO DI TRATTORI

 

Zelio Ricci a Forlì ha sempre svolto questa professione. E da lì è nata la sua passione per i pezzi storici

 

• di Cristiano Riciputi

Per lui restaurare significa conservare. Vuol dire lasciare il segno degli anni, far scorgere la fatica di chi ci ha lavorato duramente sopra. Ecco perché, tolta la ruggine, non segue la filosofia della riverniciatura a nuovo, ma preferisce quella patina d’antico che trasmette suggestione. Lui è Zelio Ricci di Villafranca di Forlì, classe 1940, uno dei fondatori dell’associazione Madi (Macchine agricole di ieri) e la passione per i mezzi agricoli antichi ce l’ha da sempre. «Hosempre fatto il meccanico di trattori – dice – e nel corso dei decenni sono venuto a contatto con quasi tutti i tipi di mezzi utilizzati nelle campagne del Forlivese. Rispetto ad altri appassionati, non sono io che sono andato a cercarli, o almeno non sempre, piuttosto sono stati i trattori vecchi a venire da me. E così è iniziata la passione».

 

No alla vernice

Come accennato, a Ricci non piace verniciare i suoi mezzi. «Non critico chi lo fa, tutt’altro, ma non è nei miei gusti. Sono trattori che hanno dai 50 anni in su, a volte quasi un secolo, e dargli una spennellata di giallo o rosso brillante mi sembra fuori luogo. Io ho un’altra filosofia, vale a dire conservare il mezzo, lasciare le scritte così come sono, lucidare e mantenere la vernice dove ha resistito senza fare aggiunte». Così come un archeologo non si permetterebbe mai di verniciare come erano in originale le case di Pompei, così Ricci lascia i suoi trattori con l’usura del tempo. «Secondo me si devono far emergere la storia e la fatica. Se in un Landini Super ci sono gli spuntoni delle ruote usurati, anche se ne ho di migliori, tengo quelli originali consumati, perché va rispettato il lavoro di tanti che hanno contribuito al nostro benessere attuale. Quell’usura è la dimostrazione tangibile della fatica del mondo rurale».

 

La locomobile

Ma veniamo alla parte tecnica. Ricci ha circa una trentina di esemplari, frutto di una passione che dura da oltre 40 anni. Il pezzo forte è una locomobile OM del 1913. «In origine era intestato ai “Trebbiatori dello Stato in Forlì”. Poi passò di mano al mugnaio di Ricò di Meldola, nelle nostre colline. Il mugnaio lo usava per far andare le macine quando nel fiume, in estate, c’era poca acqua». La locomobile permette di fare un salto indietro nel tempo di un secolo. Pesa 40 quintali, per una potenza di 35 CV espressa a 360 giri. Il motore, il volano e il sistema di raffreddamento poggiano su due robusti longaroni. Le ruote, anche quelle originali, sono in ferro. Le due posteriori sono dotate di due ganasce, mosse tramite un volantino con vite senza fine, per la messa in sicurezza da fermo. Veniva trainato nel luogo del lavoro da una coppia di buoi. La sua funzione principale, tramite una lunga cinghia, era quella di azionare le mietitrebbie. «Quella specie di ‘capannina’ – spiega Ricci – che si vede davanti è il sistema di raffreddamento a pioggia dell’acqua. Sotto vi è una vasca che contiene circa 100 litri d’acqua, la quale viene aspirata e va a raffreddare il cilindro. Per abbassarne la temperatura, l’acqua viene mandata nella parte superiore della struttura e fatta cadere a pioggia per poi riprendere il ciclo». Il motore monocilindrico usava, come combustibile, gasolio o, più frequentemente, olio pesante. L’accensione avveniva come un normale testacalda. Ogni tanto, quando il club organizza delle manifestazione, l’OM viene rimesso in moto e collegato a una trebbiatrice, sempre di proprietà di Ricci, che genera lo stupore dei visitatori.

 

Belli se con ruote di ferro

Il collezionista forlivese lo ammette, la sua predilezione va ai trattori con le ruote di ferro. «Ovviamente mi piacciono anche gli altri, ma i pezzi che preferisco sono quelli fino agli anni ’40. Come, ad esempio, il Fiat 700B del 1930. È perfettamente funzionante e con 2 giri di manovella riesco sempre a metterlo in moto. La sua caratteristica è data dalla pompa dell’acqua molto grande, bene in vista. L’avviamento avviene a benzina e poi continua il ciclo a petrolio». Ricci è affezionato anche al Fordson Detroit F1, americano, del 1921. Si vede ancora bene l’incisione che ne determina il numero di matricola. Era un trattore pensato all’epoca, perché costasse poco, fosse leggero e diffondesse la meccanizzazione fra gli agricoltori americani. Diversi esemplari furono poi esportati anche in Europa, fino a che iniziò la costruzione anche nel nostro continente con la realizzazione di modelli irlandesi, inglesi e anche italiani come il noto “Bologna” della fine degli anni ’30. «Questo Fordson ha il filtro dell’aria ad acqua e per questo il consumo di acqua era elevato. Ma per evitare guai in caso dimancato riempimento del serbatoio, fu adottato un sistema di spegnimento automatico del motore. Nel serbatoio dell’acqua vi è un galleggiante il quale, quando scende oltre il limite di sicurezza, chiude l’ingresso di aria e il trattore si spegne. Questo trattore non può essere trainato in quanto non ha differenziale, ma una vite senza fine che collega le due ruote posteriori».

 

L’immancabile Landini

Non poteva poi mancare, nella collezione Ricci, un Landini Super del 1943. Si tratta del famoso 4550 CV con 12.200 cc di cilindrata. «Mi piace ricordare che una cilindrata del genere produceva una compressione enorme che viene sfruttata anche per il sollevatore. Anche in questo caso ho restaurato il mezzo, più di 30 anni fa, mettendo in risalto tutti i particolari che si erano mantenuti, come le scritte Landini gialle su posteriore oppure l’interno dei cerchioni rossi che, appositamente, non ho riverniciato, ma homantenutooriginali». L’elenco dei trattori d’epoca di Ricci è lungo e, per mancanza di spazio nel capannone principale, molti li ha dovuti piazzare in altri ricoveri a volte non agevoli da raggiungere. Nell’elenco figurano unVelite degli anni ’40, un Lombardini a vasca del 1935, un Landini L 2530 del 1955 (uno degli ultimi testa calda), un Fiat 600 18 CV e un Bischoff cecoslovacco degli anni ’50 modello A520WA. Della collezione fanno parte anche 4 Balilla, trattorini costruiti dalla ditta Motomeccanica per circa 15 anni dai primi anni ’30. Ricci precisa che «erano usati per lavori non troppo pesanti e, grazie alle piccole dimensioni, potevano essere sfruttati anche dove lo spazio era ristretto. L’accensione era a benzina e poi si alimentavano con petrolio. Sono stati i primi trattori con il riduttore, il sistema che permette di avere più marce rispetto alle solite 3 più la retromarcia». Un altro esempio di attrezzatura storica è la trebbiatrice Saimm del 1935, originaria del Ferrarese. Spesso Ricci la mette in funzione accoppiata alla locomobile oppure a un Landini testacalda. Ha un battitore da 1,10 metri e l’ha recuperata nella zona di Marradi, sul crinale dell’Appennino toscoromagnolo. «Sono affezionato – conclude il collezionista – anche al 3 ruote Oto Melara 18, degli anni ’50. Quando lo si guida occorre fare attenzione perché ha la frizione a destra e i freni a sinistra».

 

MADI

Il Madi, l’associazione Macchine agricole di ieri che ha sede a Forlì, compie nel 2010 il 18° anno di fondazione. Ne è presidente Guido Guarini Matteucci, mentre il vicepresidente è Guglielmo Dradi. Fanno parte del Consiglio Zelio Ricci, Remo Olivi, Gabriele Pennini, Fernando Pieri, Gino Soprani, Giancarlo Zampiga e Matteo Vitozzi. Il sodalizio organizza o partecipa in media a una decina di manifestazioni l’anno. Fra gli appuntamenti ancora da svolgersi, ricordiamo la festa dell’aratura a Selbagnone di Forlì il 21 e 22 agosto, la festa a Grisignano (Forlì) il 26 settembre e il raduno Madi (a calendario Asi) presso la Cantina sociale a Forlì il 24 ottobre.
C.R.

 

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