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NEL BLU DIPINTO DI BLU

 

Senza ombra di dubbio il cuore di Vittorio Sfulcini nel Piacentino batte per i Fordson inglesi

 

• di Ottavio Repetti

C’è una bella collezione di Fiat, dal 55L all’ 80R, c’è Il Nuffield 680 e il quasi introvabile (per il nostro paese) Steyr 280. C’è la prevedibile serie dei Landini Testacalda; prevedibili sì, ma averceli... Ma è fuori dubbio che il cuore diVittorioSfulcini, collezionista di Fiorenzuola (Pc), batte per il blu dei Fordson inglesi. Magari con un tocco di italianità, come la doppia trazione che ai tempi eramontata esclusivamente per il nostro paese. Diciamo di più: come quasi sempre accade, il cuore si apre laddove si accendono i ricordi dell’infanzia. «Perché sul Super Major – dice il nostro ospite – ci sono nato sopra: per schiacciare la frizione dovevo alzarmi dal sedile e andarci sopra con tutto il peso». Scontato, a questo punto, capire quale sia il suo trattore preferito, tra quelli della collezione. Ancora una volta abbiamo un figlio di agricoltori, dunque. E ancora una volta la passione dell’uomo maturo ricrea quel che videro gli occhi del ragazzo nella realtà quotidiana.

 

Terra dura, trattore a cingoli

Per gli agricoltori della provincia di Piacenza, come appunto i genitori di Vittorio Sfulcini, la realtà era fatta di terra argillosa e difficile da lavorare. Per questo il cingolato ebbe qui – e ha ancora ai giorni nostri – un posto d’onore: era il trattore “della fatica”, quello che riusciva ad arare col bivomere, accelerando come non mai un’operazione imprescindibile ed essenziale. Come conseguenza, troviamo tanti cingolati nelle collezioni di queste zone e un posto d’onore, per i cingolati, nel cuore del proprietario, oltre che sotto il capannone. Come appunto Vittorio Sfulcini, che non seguì la strada dei genitori, ma rimase comunque legato ai motori (è titolare di un’officina con rivendita di auto a Fiorenzuola). Collezionista a tempo perso di automobili d’epoca, iniziò una quindicina d’anni fa a raccogliere vecchi trattori. «Quando ancora si trovavano nelle cascine o abbandonati a bordo di un campo e bastava chiedere per portarseli via», ci dice. Negli anni la passione per l’agricoltura è tornata a galla e quella per i Ford altrettanto. «Alla fine, se ho del tempo da perdere, sto vicino ai Ford, anche semi piacciono un po’ tutti i trattori». Inutile aggiungere, allora, che quando Sfulcini ha trovato un Super Major cingolato uguale a quello su cui spese le sue giornate infantili, non credette ai suoi occhi e alla possibilità di rivederlo lucido e splendente come allora. «È davvero un ferrovecchio, ci vorrà del tempo per rimetterlo a posto. Mi hanno garantito – e ci credo, vedendolo – che è stato 30 anni sotto all’acqua e alla neve. Però non mi spavento, prima o poi tornerà come nuovo», ci dice. Il suo è stato un colpo di fortuna, perché se è vero che il Major fu abbastanza comune nelle campagne italiane almeno fino all’avvento dei Fiat, non bisogna dimenticare che qui in terra diGranducato il “trattore” per antonomasia era il cingolato e di Fordson cingolati non ce ne sono molti in giro per l’Italia. «Nella mia carriera di collezionista, di Super Major a cingoli ne ho visto soltanto un altro», ci conferma Sfulcini. E uno adesso è lì, nel piazzale dell’officina, in attesa di tornare agli antichi splendori.

 

Un pezzo di Gran Bretagna

Fordson, dunque, come pilastro di tutta la collezione, che conta una trentina di pezzi. Troviamo i Major, tra cui un gommato con piattaforma International e alcune modifiche praticate per adattarlo alle condizioni di lavoro italiane: praticamente tre nazioni riassunte in una sola macchina. Sfulcini, oltre al gommato, può mostrare la versione cingolata del 1955. E poi un Super Major gommato: praticamente la versione su ruote di quello che fece appassionare Sfulcini alla meccanica agricola e che vedete in una foto d’epoca pubblicata in queste pagine. C’è poi un Mailam 5001 cingolato del 1968; relativamente raropure questo, sempre a causa dello strapotere Fiat, che proprio alla fine degli anni Sessanta colorò di arancione le campagne con i suoi 55 e 70. Non è ancora il momento di abbandonare la Gran Bretagna, però. Un altro pezzo di Regno Unito in terra italica è rappresentato da un Nuffield 680, anch’esso adattato alle condizioni di lavoro del nostro paese. Per esempio, montando un 6 cilindri in luogo del motore originale, assai più elastico, il primo, nell’offrire i suoi 80 cavalli. Troviamo infine un richiamo al vicino Tirolo con lo Steyr 280 del 1953; ancora una volta siamo davanti a qualcosa che non è facile ritrovare al giorno d’oggi. «Macchina nonmolto diffusa perché importata in pochi esemplari, soprattutto a causa delle sue dimensioni », ci dice il proprietario. Se oggi sembra un nanetto, a confronto con quel che gira nei campi, in effetti 50 anni fa questo Steyr doveva apparire come un vero colosso teutonico.

 

I portabandiera nazionali

Non staremmo osservando una collezione allestita in Italia, tuttavia, se non vedessimo almeno un Fiat e un Landini. Nessun pericolo: il capannone di Sfulcini offre parecchio in proposito. L’immancabile L25 di Landini, per esempio, in due esemplari: prima e seconda serie, entrambi a cavallo tra gli anni 50 e 60. Di dieci anni più vecchio, invece, il Vèlite, probabilmente il pezzo più antico dell’intera collezione. Tutti “testacalda”, ovviamente, appartenenti all’epoca gloriosa di Fabbrico. Chiudiamo la nostra rassegna con i Fiat, su cui abbiamo già detto qualcosa. Ci sono i classici gommati come il 55Re l’80R, il secondo più giovane del primo, come noto. E poi il 55 L, cingolato che scrisse, assieme al 70, un bel pezzo di storia dell’agricoltura italiana ed emiliana in particolare, rendendo veloce e relativamente agevole arare i terreni argillosi della pianura Padana. Ma per Sfulcini restano un utile completamento di una collezione il cui cuore batte Oltremanica. Scommettiamo che li scambierebbe tutti per un SuperMajor nuovo di fabbrica.

 

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