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TRATTORI OTO MELARA AMORE A PRIMA VISTA

 

La passione per questo marchio ha portato Rino Benatti a collezionare tutta la produzione dell’azienda spezzina

 

• di Francesco Bartolozzi

Quella tra Rino Benatti e i trattori Oto Melara ricorda molto un’appassionata storia d’amore. Iniziata in quel di San Girolamo di Guastalla (Re), quando nel 1951 (allora aveva solo 5 anni) arrivò in casa sua il primo Oto (il 18 a tre ruote), interrotta nel 1963 quando lasciò i campi per andare a fare il fornaio, e riesplosa in maniera travolgente e definitiva nel 1981, dopo che era tornato a lavorare in agricoltura, quando a Barco di Bibbiano (Re), dove adesso risiede, vera e propria culla del Parmigiano- Reggiano, si imbatté in un Oto cingolato mai visto prima, che risvegliò in lui i ricordi di gioventù e soprattutto la passione per quei trattori. Tanto che decise di recuperare tutti i modelli prodotti dall’azienda spezzina. «Quel trattore mi colpì immediatamente e mi fece nascere da subito la voglia di avere in casa tutti i modelli della Oto Melara. Così ho cominciato da quelli che già conoscevo (18, 25, 40 e 25 a cingoli), venendo poi presto a sapere che in realtà la Oto ne aveva prodotti ben 19, compresi prototipi e reversibili da ruote a cingolato, dato che non avevano il differenziale». Già, il differenziale. Un particolare che Benatti ricorda molto bene, perché va detto che guidare un Oto non è una cosa da tutti. «Innanzitutto – conferma Benatti – la frizione è a destra, quindi in un posto dove nessuno se l’aspetterebbe, così come anche i freni sono fuori posto, perché collocati sulla sinistra. Finché si trattava di andare diritti, queste due anomalie erano comunque facilmente superabili, ma quando dovevi curvare, erano dolori. Senza il differenziale, dovevi lavorare sui “freni-pedali-di-sterzo” e comunque il rischio di ribaltamento era sempre all’ordine del giorno. In ogni caso era una questione di abitudine ». Il museo, ultima “chicca” Benatti conosce come le sue tasche tutti i modelli, dopo aver recuperato i documenti originali e la depliantistica, che ha anche accuratamente fotocopiato per chi ne facesse richiesta. E la sua ultima “chicca” è il museo, inaugurato pochi mesi fa, situato proprio accanto alla sua abitazione e aperto per i visitatori su appuntamento. Un’occasione da non perdere, perché i modelli sono stati restaurati alla perfezione, riportati al loro colore originale e ovviamente funzionanti. Come detto, la Oto produsse, in soli 9 anni (tra il 1953 e il 1962), 19 modelli e a Benatti manca solo il 25 stradale, dotato di frecce e compressore per la frenatura dei rimorchi. Un tassello che sta ancora cercando di recuperare per completare davvero il suo capolavoro. «Il primo trattore Oto – racconta Benatti – l’R3, a 3 ruote, nasce, dopo un prototipo iniziale, nel 1951, con cofano chiuso, 15/18 CV di potenza, motore monocilindrico orizzontale con sviluppo bicilindrico a V, diesel puro, messa in moto manuale e raggio di sterzo unico (1,8 m, grazie proprio alle tre ruote). La presenza di un cofano chiuso provocava, però, surriscaldamento e quindi i modelli successivi, il 2R3N e l’R4A, furono costruiti con la cofanatura aperta. A partire dal 1953 inizia la produzione dei C25 e C40 bicilindrici, che presentano una particolare fanaleria in vetro, seguiti nel 1956 dal C40 C, cingolato, caratterizzato come tutti gli altri dalla possibilità di essere convertito, nel giro di 4 ore, in gommato e viceversa, dato che mancava il differenziale. Fino a questa data il carro era praticamente sempre lo stesso, cambiava magari la cofanatura, ma a partire dal 1957, quando iniziò la produzione dei ‘20’, con il mitico primosole come primo modello, e dei ‘30’, la macchina cambiò completamente, perché l’azienda doveva in qualche modo contrastare la concorrenza (Piccola, Landinetta, Same). Dal primosole, simile alla Piccola, ai modelli successivi le differenze erano significative, pur rimanendo l’assenza del differenziale: la mascherina anteriore, il bicolore arancio- grigio (prima era tutto arancio), ma soprattutto la Pto indipendente e non più legata al cambio, la frizione sulla sinistra e non a destra, il numero di marce (7+2 contro le 6+1 di prima) e il motore molto più stretto».

 

Il ‘25’C, gioiello di famiglia

Il 1957 è anche l’anno in cui fa il suo debutto l’Oto ‘25’C primosole, «il gioiello di famiglia – lo definisce Benatti – un trattore carenato fatto apposta per i frutteti e gli aranceti bassi del Sud Italia». La Oto Melara, infatti, aveva abbassato il cingolato tradizionale ‘25’C a 98 cm da terra e lo aveva carenato affinché i cingoli non andassero a sbattere contro o a rompere i rami. «Aveva un’aderenza enorme – spiega Benatti – e un tiraggio che a quei tempi nessun altro trattore riusciva a raggiungere. Il modello in mio possesso è di colore bianco perché era quello preferito alle fiere (venne infatti presentato alla fiera di Verona), ma ai contadini il bianco evidenziava troppo la presenza di sporco, perciò la produzione in serie veniva poi fatta nel classico colore arancione». La produzione della Oto Melara si concluse con il modello ‘45’, che doveva risolvere i difetti del C40, caratterizzato da un carro più debole rispetto alla potenza che aveva: perciò furono rinforzati i riduttori, lo sterzo era più robusto anteriormente, il peso era portato in avanti zavorrandolo e anche il serbatoio era posizionato davanti. Anche questo modello era reversibile gommato/cingolato e fu l’ultimo a essere costruito dall’azienda spezzina. Un consiglio per chi volesse visitare queste realtà collezionistiche: dato che il Reggiano “pullula” di collezioni speciali di macchine agricole d’epoca, conviene ottimizzare i tempi organizzando un minitour per vederne più di una in un solo giorno.

 

Dalle armi ai campi

La Oto, acronimo di Odero Terni Orlando, nasce nel 1929 per la produzione di navi, macchine e artiglierie, e commercializza i primi trattori nel 1950. Viene poi messa in liquidazione e per l’esercizio degli stabilimenti viene creata la Società Meccanica della Melara, in località appunto Melara (Sp). È quindi nel 1953 che viene creata la Oto Melara, la cui produzione spazia dai trattori alle macchine tessili e ai carrelli elevatori. Verso la fine degli anni Cinquanta, anche a seguito di un pressante invito da parte del ministero della Difesa, la Oto Melara torna a dedicarsi totalmente ai cannoni e ai prodotti bellici, continuando a produrre trattori solo fino al 1962 e a commercializzarli fino al 1964. Il progetto del primo trattore Oto lo si deve a un ingegnere parmense, Camillo Corradi, dal quale derivò poi l’R3, che impressionò subito per il suo design moderno.

Modello Tipo Potenza (CV)
R4A OTO R4A 15-18 Immatricolazioni
OTO '18' OTO R3 15-18 Anno Numero
OTO '18' OTO 2R3N 15-18 1951 213
OTO '20' OTO R4 primosole 20 1952 325
OTO '20' OTO R4 20 1953 430
OTO '20'C OTO R4 20 1954 759
OTO '20' OTO R4 prototipo 20 1955 1.032
OTO '25'C OTO primosole 25 1956 943
OTO '20'C OTO cingolato prototipo 20 1957 779
OTO C25C OTO cingolato 25 1958 852
OTO C25 OTO R4 25 1959 372
OTO C25 OTO R3 25 1960 197
OTO C25 OTO 2R3V 25 1961 171
OTO '25'C OTO 25 1962 68
OTO '30' OTO R4 30 1963 30
OTO C40 OTO R4 40 1964 7
OTO '40'C OTO cingolato 40 6.178
OTO '45' OTO R4 45

 

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