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NON SOLTANTO TRATTORI

 

La collezione di Gianfranco Bisiccia a Fossombrone (Pu) è un vero e proprio museo della civiltà contadina

 

• di Cristiano Riciputi

Questa volta non parliamo di puro collezionismo, di chi ha la semplice passione per i trattori e gli attrezzi antichi. Con Gianfranco Bisiccia abbiamo la possibilità di rivivere la ‘storia della fatica’ nelle terre rurali, una fatica espressa con l’utilizzo degli attrezzi di lavoro quando mietere un ettaro di grano significava giorni e giorni di duro lavoro. Siamo a Fossombrone, Comune di 10mila abitanti in provincia di PesaroUrbino. Bisiccia, 80 anni, perito agrario, ha cominciato a mettere da parte cose vecchie 50 anni fa e da allora non si è più fermato. «Non è tanto per la smania di collezionare – spiega – piuttosto per la passione di salvare quel che per tanti ha rappresentato il lavoro quotidiano, la fatica, ma anche l’ingegno nella costruzione di certi attrezzi di uso comune». Bisiccia ha due grandi capannoni, appena fuori dal paese, dove custodisce trattori, trebbiatrici, attrezzi come falci, zappe, ma anche veri e propri banchi da lavoro del fabbro, del maniscalco, del calzolaio, del falegname. Fra i trattori da menzionare il classico Super Landini, il Velite, l’L25, recuperati dal proprietario fino all’ultimo bullone e lasciati all’usura del tempo. «Guai a verniciarli – tuona il perito agrario – sarebbe come dare un pesante trucco al viso di una signora di 90 anni. Risulterebbe imbarazzante ». Fra i trattori anche due Fiat 25, uno a ruote e l’altro cingolato. Ma dopo la breve parentesi dei trattori, l’attenzione viene rapita da tutto il resto. Prima di tutto dalle trebbiatrici. Fa bella mostra di sé una Rossini di Macerata, del 1925, con battitore da cereali da 1,22 metri. In passato Bisiccia ha abbinato a questa trebbia il Super Landini, l’elevatore per la paglia per fare il pagliaio e l’elevatore per la pula e ha organizzato delle rievocazioni storiche. Vicino alla Rossini vi è una Bubba del 1920, utilizzata per sgranare il mais. Questa la si usava solo per sgranare, mentre per defogliare occorreva una sgranadefogliatrice come la Saima degli anni ’50 che Bisiccia custodisce accanto alle altre. «La trebbia Bubba – spiega – così come le altre, ha tutti i pezzi originali e quando l’ho acquistata, aveva delle gomme da camion, ma poi, tramite un annuncio su un giornale specializzato, sono riuscito a trovare quelle originali». Ben tenuta anche la trebbia Otello Zappelli, per fava e favino, degli anni ’60.

 

Carri agricoli e torchi

Nella collezione di Bisiccia spiccano anche dei rari e preziosi carri agricoli. « In particolare per me uno è prezioso e di grande valore storico, in quanto è sempre appartenuto alla mia famiglia. Porta dipinto l’anno di fabbricazione, il 1880, voluto da mio nonno Pietro Bisiccia. Poi vi è indicato anche l’anno di restauro, negli anni ’20. Questo carro, così come un altro marchigiano, è spettacolare nella sua semplicità, con la robustezza che serviva agli agricoltori del tempo, ma allo stesso tempo ha una certa maneggevolezza.
Con colori sgargianti i carri sono dipinti in modo da renderli piacevoli anche alla vista». Interessante anche la “zona vino” dove il collezionista ha realizzato, come si direbbe oggi, tutta la filiera: dalle grandi casse in legno, a forma di parallelepipede alle bigonce, dalle pigiatrici ai torchi fino alle botti. Curiosa la serie di torchi per estrarre vino dalle vinacce: vi sono quelli tradizionali con pressione esercitata a mano, ma anche uno con una pompa ad acqua che dava pressione idraulicamente. In questa zona campeggia una grande botte originaria di una cantina di Fossombrone che, per essere tolta da dove si trovava, è stata smontata e poi rimontata dove si trova oggi.

 

Lavorazione terreno e fienagione

Due aratri in legno, uno del ‘700 e uno di poco successivo, sono i pezzi rari del settore “lavorazione terreno”, zona nella quale vi sono più moderni (si fa per dire) aratri in ferro, ma anche erpici, estirpatori e seminatrici. Alcuni di questi attrezzi erano degli antenati di Bisiccia. Da segnalare il primo aratro a carretto mobile di ferro, del 1800 circa, della ditta tedesca Rudsack. Se una volta la forza animale era pressoché la più usata, non ci si deve sorprendere per la grande gamma di attrezzi legati alla fienagione. Un pezzo raro è una trinciaforaggi a 4 tagliole, degli anni ’20, costruita, come riporta l’altorilievo, dalla ditta Domeniconi di Gatteo di Romagna. Grazie a un grande volano si imprimeva la forza necessaria per far funzionare le tagliole. Fa bello spicco anche una macchina usata per togliere la lanuggine dai bozzoli dei bachi da seta, così come gli svecciatoi per aumentare la purezza delle sementi. In una parete del capannone Bisiccia ha appeso un numero indefinito di falci, falcetti, tagliaforaggio, in una varietà di modelli che pare impossibile che ognuno servisse a uno specifico foraggio o per un determinato tipo di lavoro. «Ho trovato anche la falce per i mancini – dice Bisiccia – così come i tagliafieno triangolari, da usarsi per estrarre le razioni dai pagliai a taglio semplice, cioè solo da un lato, o a doppio taglio». Che dire poi delle presse per fare i covoni, delle quali il collezionista custodisce tre esempi di evoluzione: una tutta in legno, la seconda con l’arco in ferro e la terza solo in ferro. Spettacolare un vaglio in pelle di maiale conciata, che apparteneva a suo nonno. «Ricordo che quando si rompeva – dice con una punta di commozione Bisiccia – mio nonno si recava a Senigallia, in provincia di Ancona, dove c’era l’unico artigiano in grado di ripararlo. Partiva ben prima dell’alba e tornava a casa a notte fonda. Poi furono sostituiti dai vagli in metallo». Non si possono non menzionare tutti gli attrezzi da fabbro e da maniscalco che Bisiccia custodisce gelosamente, così come il banco del calzolaio con tutti gli attrezzi per riparare le scarpe. In un angolo del capannone c’è anche una collezione di bici da lavoro, come quella del lattaio con i fusti in metallo, così come alcune moto e auto d’epoca. Non è tanto per gli oggetti in sé – ci tiene a far capire Bisiccia concludendo la nostra visita – che tengo tutto da parte. Mi commuovo quando vedo questi strumenti di lavoro e penso alla fatica degli uomini e al progresso che è stato compiuto anche grazie ai loro sacrifici».

 

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