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UN RESTAURATORE NATO

 

Gabriele Pennini aRimini vede nel collezionismo una forma d’arte. L’arte dellameccanica

 

• di Cristiano Riciputi

 

Una passione nata dieci anni fa e che lo ha portato ad avere, a oggi, 11 trattori d’epoca. È l’esperienza di Gabriele Pennini, 45enne di Rimini, il quale vede nel collezionismo una forma d’arte. L’arte della meccanica. «Sono sempre stato appassionato di meccanica – esordisce Pennini – fin da piccolo. So che è il sogno di molti bambini, ma in me era una vera e propria passione. Poi il lavoro mi ha portato su altre strade,manon si è mai sopito l’amore per cilindri e pistoni, in particolar modo quelli dei trattori». E così una decina d’anni fa Pennini ha iniziato la propria collezione acquistando trattori d’epoca per lo più da privati, e qualcuno anche da commercianti. Ma con una prerogativa: si tratta di mezzi da restaurare, a volte profondamente, perché Pennini non avrebbe soddisfazione nell’acquistare un mezzo già perfetto per metterlo nel garage. Il suo orgoglio sta nello smontarlo totalmente, verificarne lo stato della meccanica, cercare i pezzi originali, costruire con le proprie mani e i propri mezzi quelli che mancano, assemblarlo di nuovo, riverniciarlo secondo i colori dell’epoca seguendo le indicazioni dei cataloghi.

 

Due anni per restauro

«È il mio hobby e lo faccio a tempo perso: il sabato, a volte la sera e, comunque, quando non sono impegnato nella mia attività. Per restaurare ogni trattore impiego, in media, un paio d’anni. La mia punta di diamante? Sicuramente il Velite Landini testacalda del 1948. Lo considero il mio gioiello perché ho impiegato due anni e mezzo a risistemarlo, un investimento economico non indifferente e tanto, tanto lavoro». Questo esemplare è stato acquistato da Pennini nella zona di Torino per circa 4.000 euro ed era un esemplare in cattivo stato di conservazione. Aveva ruote in gomma posticce e non funzionava. Dato che i pezzi originali sono ormai introvabili, la parte più difficile è stato trovare le quattro ruote in fusione che caratterizzavano questo mezzo. «Le ho fortunosamente recuperate in provincia di Modena e le ho pagate quasi quanto il trattore. Però senza questi cerchi il Velite non sarebbe lui. Sono quattro ruote realizzate in fusione, quindi senza saldature, dei pezzi unici. Quelle posteriori sono dei cerchi con spuntoni per dare più presa e aderenza durante l’aratura.Ma in tal modo non avrebbe potuto circolare normalmente. Allora vi si applicavano due copriruote in ferro, che ho trovato originali, che gli permettevano di muoversi anche sulle strade. La velocità di questo mezzo, comunque, era bassa, non più di 8 km/h con la marcia più ‘lunga’, la terza». Il collezionista ha recuperato anche una lampada a carburo originale e il poggialampada, attrezzi che servivano per la messa in modo, cioè per “scaldare la testa”. Davvero di una semplice ingegnosità il meccanismo che permetteva di capire quanto gasolio ci fosse nel serbatoio. Un’asticella inserita nel serbatoio, e posta davanti al ‘cruscotto’, terminava con un galleggiante. A serbatoio pieno l’asticella era quasi completamente sollevata e, al diminuire del carburante, scendeva fino ad arrivare a livello del cofano. «Qui non esiste l’elettronica: non dimentichiamo che, anche se il mio esemplare è del 1948, il progetto è ancora quello degli anni ’30 – specifica Pennini –. Vi è solo un semplice impianto elettrico con tre fanali, due anteriori e uno posteriore, alimentato da una dinamo messa in movimento da una cinghia collegata a una puleggia specifica alla sinistra del guidatore. I fanali sono tre, due anteriori e uno posteriore, e sono caratteristici con le scanalature verticali, in quanto la tecnologia dell’epoca non permetteva di fare vetri bombati. Grazie ai fanali si potevano compiere lavori notturni. Va ricordato che spesso questi trattori venivano accesi a fine primavera e spenti in autunno». Può sembrare impossibile, al giorno d’oggi, una cosa del genere, ma, almeno in Romagna, accadeva proprio così. Ad esempio, in estate di giorni si trebbiava e di notte si arava. Il trattore, che era un investimento colossale per quei tempi, veniva sfruttato al massimo. «Vi è un aneddoto legato a questo mio mezzo. La scorsa estate, esposto in riviera a Torre Pedrera, vicino a Rimini, attirava lo stupore di tutti i turisti. Un paio di persone anziane, del posto, invece, lo guardavano da lontano, pareva quasi con astio. Quando gli ho chiesto il motivo, mi hanno detto che questo trattore ricordava loro delle fatiche immense, un lavoro lungo e sfiancante che non augurano a nessuno ».

 

Verniciature perfette

Continuando nella collezione ci si imbatte in tanti ‘gioiellini’ che sembrano appena usciti dalla catena di montaggio. Il mitico Fiat 25R è stato il primo trattore restaurato da Pennini. Il suo modello è del 1954 e il colore arancione della scocca, illuminato dai deboli raggi del sole riminese di gennaio, lo fa apparire infuocato. A fianco vi è un cingolato, il Landini C35 (1961), recuperato da un agricoltore di Savignano (Fc). Meticolosa la cura prestata nella fase di verniciatura che appare perfetta, senza sbavature o imperfezioni. Sotto ai ferri, già da diversi mesi, e ne serviranno altrettanti, vi è un Fiat 70 del 1959. «In Romagna si usava lo stesso modello a cingoli, mentre questo è a ruote e non ha avuto un gran successo. Erapotente,ma aveva poca aderenza, soprattutto per i lavori pesanti». Al momento della nostra visita Pennini ne stava revisionando il motore e, allo scopo di vedere il regolare funzionamento, aveva applicato due manometri direttamente al motore, in modo da tenere sotto controllo pressione e temperatura dell’acqua. Una volta terminato il restauro, i manometri torneranno nella loro normale posizione, vale a dire nel cruscotto. In un altro capannone, in attesa di un restauro che non potrà partire prima di qualche anno, vi sono altri 4 cingolati: un ArbosBubba 1954, un Orsi CDA 404 del 1961, un Fiat 25 a petrolio con avviamento a manovella e un Fiat 27 del 1959.

 

Pdp e puleggia

Già restaurato è un Same DA 30 diesel del 1958, acquistato da un privato di Forlì. «Per questo trattore ho impiegato molto tempo per la verniciatura. La scocca è arancione, il cruscotto, la mascherina, i cerchi e la parte superiore del sedile sono verdi, il motore è grigio. Trovare le vernici identiche e applicarle alla perfezione non è stato facile». È curioso notare come questo trattore sia uno di quelli ‘di passaggio’ fra l’antico e il moderno. Infatti, possiede sia la presa di potenza dentata, grossomodo come un trattore attuale, sia una puleggia posta nella parte posteriore, vicino alla presa di potenza. Segno che la ditta, all’epoca, spingeva per l’uso di attrezzi di nuova concezione come zappatrici o falciatrici che si azionavano con la pdp,manon voleva perdere i clienti ancorati ancora al passato ai quali serviva la puleggia per azionare, tramite cinghia, gli attrezzi di vecchia concezione. Inoltre, questo trattore era a doppia trazione ed era un valido surrogato dei cingolati. Un altro Landini della collezione è un 2530 del 1955, il quale deve essere ancora riverniciato e in parte revisionato. Il doppio numero (2530) indicava la potenza: veniva considerato un range ampio a seconda di come si sarebbe utilizzato il trattore, vale a dire in trazione oppure da fermo. La resa maggiore (30 CV) si ha con l’uso della puleggia, mentre in trazione, a causa degli attriti delle ruote, la potenza (stimata) scende a 25 CV. «Ormai è difficilissimo trovare pezzi d’epoca a prezzi ragionevoli, anche se sono rottami – conclude Pennini –. Fino a vent’anni fa i demolitori davano anche 100mila lire a noi appassionati per rimuovere dai loro piazzali questi trattori. Oggi, chiunque si fa pagare profumatamente. Fra gli aneddoti che mi piace raccontare vi è quello di un amico che, dopo aver visto il mio Fiat 25 R, lo ha riconosciuto e ha detto di aver trascorso gran parte della sua giovinezza lavorando grazie a quel trattore».

 

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