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CON LANDINI NEL CUORE

 

È il marchio preferito dai fratelli Marenghi nel Piacentino nella loro collezione. Dove peraltro brillano altri gioielli

 

• di Rino Bresciani

Hanno smesso di fare gli agricoltori già quarant’anni fa, ma i campi, l’aratura e la trebbiatura sono rimasti nel loro cuore. Soprattutto se fatti come una volta. E così Roberto, Mario e Sante Marenghi, tre fratelli di Piacenza, nel 1972 acquistarono un vecchio Lanz. «Lo presi io – ci dice Roberto – perché era già un qualcosa che mi piaceva, anche se non sapevo cosa ne avrei fatto». Ma quando la passione cova in fondo al cuore, in un modo o nell’altro esce. Passano altri venti anni e, complice il maggior tempo libero, Roberto e Mario cominciano a raccogliere trattori d’epoca. E poi anche vecchi attrezzi, carri di legno, calessi, trebbie da aia. Oggi la loro è una delle collezioni più belle della provincia di Piacenza. Hanno una quarantina di trattori, che coprono almeno cinquant’anni di storia della meccanizzazione agricola. Parliamo di quelli già in ordine e funzionanti, perché se contiamo anche quelli da rimettere in sesto, al momento riuniti da qualche altra parte, i numeri aumentano. Vantano qualche pezzo raro, tanti altri abbastanza comuni tra i collezionisti, qualche curiosità. Insomma, un capannone che vale la pena di vedere.

 

Dall’R25 ai Velite

Cominciamo a visitarlo dall’ala riservata ai Landini, che praticamente occupa metà dello spazio a disposizione. Sintomo della diffusione di questo marchio nei primi decenni della meccanizzazione e, anche, della buona qualità dei suoi trattori. Tutti ancora funzionanti, ci dicono i fratelli Marenghi. Ci sono, per esempio, un R25 e una Landinetta, entrambi di metà anni Cinquanta. Entrambi montano un motore molto originale: infatti, è sempre un due tempi come per i modelli a “testacalda”, ma a differenza di questi la compressione dell’aria non è affidata al carter, ma a un compressore volumetrico. I cavalli del modello R25, come dice il nome, erano 25. La Landinetta è un po’ più vecchia, ma non di molto. Due trattori per la piccola azienda agricola che hanno, però, la particolarità di essere già azzurro Landini. E di essere dotati del motore diesel moderno, ovvero con avviamento veloce. Ben diverso dai mitici “testacalda” che hanno fatto la storia dell’agricoltura nei primi 40 anni del Novecento. Di questi nel deposito dei fratelli Marenghi ne possiamo vedere diversi; tutti funzionanti, come si è detto. Per esempio, un Velite del 1935/36, altra macchina per la piccola e media azienda agricola. Decisamente diversa dai Superlandini, pensati per le grandi campagne. Entrambi, però, accomunati dall’accensione e dalle ruote in ferro, nonché dall’epoca di produzione. I Marenghi di Superlandini ne hanno ben due, uno dei quali corredato della sua lampada svedese (un bruciatore a petrolio che serviva a scaldare la camera di combustione del motore per l’accensione). Sono tra i pezzi preferiti della collezione, ci lasciano capire.

 

Caterpillar prebellico

Ma non sono i pezzi più antichi. Il “nonno” di tutti i trattori della collezione Marenghi è un Caterpillar cingolato con avviamento a manovella e accensione a magnete. Fu costruito dal 1917 al 1927 circa. Funzionava a petrolio e il nome, Ten, indica chiaramente i cavalli. Dieci, per chi non mastica l’inglese. «È una macchina rara. In tutta Italia ce ne saranno quattro o cinque. Un trattore per fare aratura, decisamente. Era molto valido e soprattutto all’avanguardia per gli standard italiani. Aveva delle soluzioni, per esempio per il leveraggio, migliori di quelle che adottava Fiat ancora 30 anni dopo », spiega Roberto. A proposito di Fiat, ne troviamo un paio cingolati, più quelli a ruote. D’altra parte siamo in provincia di Piacenza, dove la vite non è aliena e soprattutto dove la terra è così dura che ancor oggi è normale veder arare con i bulldozer privati della lama apripista. I Challenger, insomma, qui sono di casa (e qualche volta fanno anche fatica) e il cingolo è più comune che da altre parti. Torniamo però indietro di qualche decennio e continuiamo il nostro tour. Tra le cose più interessanti troviamo un Tn20 di Massey Ferguson, seconda metà degli anni Quaranta. Si avviava a batteria ed era fornito di manovella per i momenti “difficili”. «Ma in realtà ancora oggi va in moto al primo colpo», ci dice Roberto Marenghi. Dotato di ben 25 cavalli, era già una macchina polivalente, dal momento che adottava applicazioni – come sollevatore e presa di forza – oggi divenute comuni, ma che a quei tempi erano praticamente sconosciute. Come pure estremamente moderno è il Porsche Allgaier. Si tratta dell’evoluzione dei modelli che Ferdinand Porsche costruì dall’inizio degli anni Cinquanta, prima di vendere il brevetto, per l’appunto, ad Allgaier. Macchine avanzatissime per l’epoca e dotate, per esempio, di assale anteriore sospeso e giunto di trasmissione idraulico. Per farla breve dai Marenghi si trova riassunta la storia della meccanizzazione agricola italiana. Comprese due macchine per la trebbiatura, tra cui una della ditta piacentina Bubba, ottimamente restaurata e naturalmente funzionante al 100%. Una vera bellezza da vedere. E per raccogliere il grano da trebbiare, una serie di Bcs con aspo e legatrice, macchine in voga nelle nostre campagne fino alla metà degli anni Settanta. E ora pezzi preziosi per collezionisti che hanno voglia onorare quelle macchine che hanno sollevato l’uomo da un bel pò di fatica.

Il senso delle nostre campagne

La filosofia che sta alla base del concetto di collezionismo che anima i fratelli Marenghi può essere colta in pieno in queste poche righe: «Purtroppo oggi accade spesso che queste macchine vengono trasportate senza sosta da una piazza all’altra, perché forse riteniamo che siano indispensabili a risvegliare i ricordi sopiti in molti oppure a incuriosire e ad appassionare quelli che non le hanno mai incontrate. Dobbiamo ammettere con dispiacere che spesso producono effetti lontani dai nostri propositi, specialmente quando le inseriamo in spazi che non sono i loro. Non vengono apprezzate, ma ricordate per il rumore che producono, per il fumo e gli schizzi d’olio sugli abiti della festa. Crediamo che la loro casa, magari un vero e proprio Museo, possa essere collocata in posti come questi, sufficientemente lontani dalla vita cittadina, ma facilmente raggiungibili. Questi trattori qui sono in compagnia di tanti oggetti o attrezzi, molti dei quali senza alcun valore economico, che facevano parte della vita dei campi. Ma i segni del tempo che essi portano ci trasmettono il senso della vita delle nostre campagne dalle quali ci siamo allontanati. Noi abbiamo cercato, e cercheremo, di conservarne più a lungo possibile un “pezzetto” che speriamo possa essere una testimonianza per i nostri nipoti affinché capiscano le loro origini e possano così, con maggiore consapevolezza, progettare meglio il loro futuro».

 

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