• di Barbara Mengozzi
“Piccole in Terra di Lavoro” potrebbe essere il titolo della collezione di macchine d’epoca di Nicola De Biase, contadino in prestito all’ingegneria per sua stessa definizione, che ci accoglie a Vitulazio, nel Casertano, sulla via consolare Appia, a 200 km esatti da Roma. “Circa otto anni fa – racconta l’intervistato – ho maturato la decisione di raccogliere tutti i tipi tecnici, i modelli, gli allestimenti, le applicazioni e le trasformazioni derivate da un trattore agricolo capostipite, il Fiat 18, denominato in gergo la piccola, e lanciato dalla Fiat Trattori nel marzo del 1957, in occasione della Fiera di Verona, a seguito di lunghe e approfondite attività di impostazione, progettazione e sperimentazione. Il periodo di riferimento per questa macchina, adatta sia ai grandi lavori della piccola azienda sia ai piccoli lavori della grande azienda, parte dalla fine del 1956 e termina nel gennaio del 1986”. La collezione di De Biase è composta al momento da 35 piccole, di cui alcune derivate e altre destinate a ospitare una serie di allestimenti. Poiché la Fiat Trattori ha prodotto 5 serie di piccole, ognuna delle quali contava una quindicina di pezzi, di cui due terzi versioni fondamentali e il resto versioni derivate, l’esaustività della collezione sul tema “piccola” dovrebbe esprimersi in almeno 70 pezzi. “Diciamo che sono a metà – specifica De Biase –. La macchina più vecchia che possiedo è un esemplare degli 84 della preserie (vedi box), prodotta presumibilmente tra novembre e dicembre del 1956”. Il materiale utilizzato per organizzare un progetto così ampio e ambizioso è stato reperito in massima parte dai manuali di uso e manutenzione, dai cataloghi ricambi, dai manuali di officina e dai dépliant commerciali. Senza trascurare la viva voce dei protagonisti. “Contributi importanti sono state anche le tante informazioni fantasiose, a volte completamente false, la cui coscienziosa verifica mi ha portato a interessanti risultati”.
Oltre i confini italici
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la collezione di piccole si spinge al di là dell’ambito nazionale e contempla alcuni pezzi destinati esclusivamente al mercato estero e reperiti appunto in loco. “Ad esempio, la piccola alimentata a benzina con motore Simca proviene dalla Francia e sono stati necessarie altre due spedizioni per completarla. Il trattore Fiat 211Rb da 20 CV, sempre con alimentazione a benzina, l’ho acquistato, trasportandolo personalmente, in Danimarca: è un modello risalente al 1959 che all’epoca non veniva commercializzato in Italia, in quanto da noi la benzina non rientrava allora tra i carburanti agevolati. Lo scorso gennaio mi è stato consegnato un container da Melbourne al cui interno era stivato un Fiat 211Rb factotum, tipo prodotto in 200 esemplari, la maggior parte dei quali destinati al mercato della terra dei canguri. Facendo riferimento ai 38.000 esemplari di piccole prodotti fino al 1964, posso dire di averne riscontrato la presenza, a volte anche con numeri significativi, in tutti e cinque i continenti. E ancora più sorprendente è il fatto che all’estero l’affetto per i trattori color arancione della, ormai ex, Fiat Trattori è sentito molto più che in Italia, specialmente nei Paesi del Nord Europa”.
Incontri “galeotti”
Ma vediamo di scoprire come è nata la passione di De Biase per le piccole. “Alcuni anni fa mi ero messo alla ricerca di un trattore da demolire per riparare la piccola di mio nonno, compagna della mia infanzia. La sorte mi fece acquistare la piccola del nipote di Papa Giovanni XXIII, ma, dopo averla portata a casa, non ebbi il coraggio di smontarla per assemblare la mia. Quando compresi che non sarei mai riuscito a demolire un trattore, mi misi alla ricerca di documentazione per identificare, e poi reperire, i componenti meccanici che mi mancavano per rimettere in moto la piccola di casa. Comprai alcuni cataloghi ricambi e scoprii l’esistenza delle varie versioni di quella che è stata giustamente definita “l’utilitaria dei campi”. Dentro di me si accese il desiderio di possedere i vari modelli della serie, ma le speranze erano molto deboli in quanto avevo avuto l’opportunità di osservare al lavoro, nella mia terra di origine, solo pochi esemplari. La molla del collezionismo la fece scattare l’incontro, assolutamente casuale, con una serie di persone – tra le quali vorrei citare, in ordine di apparizione nella mia vita, Roberto Marenghi, Roberto Abate, Vincenzo Riva e William Dozza. Da quest’ultimo ho appreso l’approccio e la filosofia del collezionismo, mentre gli altri hanno messo a mia disposizione la loro esperienza e le loro officine, dove personalmente ho effettuato il ripristino meccanico di molti dei miei trattori. Inoltre, durante gli anni di permanenza nel Nord Italia, mi resi conto che erano ancora reperibili numerosi esemplari. In tutta onestà avevo stimato che il numero necessario per coprire dignitosamente il tema della collezione fosse di una decina di modelli, ma, con l’approfondimento del tema, sono aumentati in maniera considerevole. Non nego però che sarebbe bello vedere il progetto concluso e cercherò di fare il possibile con le risorse a mia disposizione. Fino a oggi varie volte sono stato sul punto di smettere, preso da vari impegni, non ultimo il mantenimento delle fonti di reddito. I miei familiari, pur non comprendendo appieno lo spirito che anima le mie decisioni, hanno cercato di non ostacolarmi e in varie occasioni mi sono stati di supporto. Mio padre Vincenzo, in particolare, si è affezionato a queste macchine nelle quali vede profuse molte mie energie e mi ha confessato che l’alienazione della collezione sarebbe per lui un grande dispiacere”.
Collezionismo vero
De Biase ci fornisce anche dei dettagli in merito alla provenienza dei pezzi della sua collezione. “Li ho acquisiti in massima parte da agricoltori, contadini e pensionati e ogni trattore raccolto dalle loro mani è stata la consegna di un’eredità. Le macchine che queste persone hanno usato nel duro lavoro dei campi sono il riassunto di una vita, fatta di speranze e di fatiche. Raccoglierle non è sfiducia nel futuro, ma conservazione consapevole del passato al quale dovremmo attingere per progettare il futuro”. Dichiarazioni che aiutano a comprendere quella che dovrebbe essere l’essenza vera di questo tipo di collezionismo, da intendere come il ‘recupero’ di un passato contadino frettolosamente allontanato e dimenticato. “Ho vissuto ‘dove non viene mai sera’, secondo i valori, i ritmi e le armonie della vita in campagna. Ho avuto quindi il privilegio di essere stato io stesso un agricoltore e questo mi ha permesso di interagire con i protagonisti principali della mia storia: contadini, contoterzisti, ricambisti, meccanici di campagna e fabbri. Sono anche un ingegnere meccanico, circostanza che mi ha agevolato nel dialogo con tecnici, progettisti e personaggi chiave del tessuto aziendale della produzione trattoristica del passato. Queste esperienze sono state un arricchimento interiore, oltre che culturale; ho trasformato così in opportunità il vincolo di permanenza nel Nord Italia per ottemperare ai miei incarichi professionali. Senza le mie piccole avrei sicuramente più ampie disponibilità finanziarie, ma non avrei forse tanto entusiasmo per la vita e tanta energia interiore. Salvare dall’oblio una storia per i posteri, conservarne con tanti sacrifici le testimonianze è stata la mia scommessa per il futuro”.
Trent’anni di storia: dal 1956 al 1986
“La piccola – spiega De Biase – rappresentava l’indovinata risposta alle esigenze dell’agricoltura della fine degli anni Cinquanta, dove il 90% delle aziende italiane aveva una superficie che non superava i 20 ettari. Il costo di acquisto contenuto, 870.000 lire in configurazione minima, e quello di esercizio erano allineati all’economia delle piccole aziende”. Numerosi furono i produttori che introdussero nel loro assortimento attrezzi e accessori da azionare con la piccola. “La Fiat Trattori produsse, già nel 1956, una pre-serie di 84 esemplari destinati a prove in campo, alcuni dei quali furono consegnati a trasformatori. Tutto avvenne in un clima di fattiva collaborazione, al punto che le macchine derivate dalle piccole furono presentate in un apposito stand sotto l’egida della Federazione italiana dei consorzi agrari”. Dopo il lancio, la Fiat Trattori commercializzò altre versioni della piccola: da frutteto, da vigneto e da montagna. “Nei primi due anni di commercializzazione, quindi nel corso del 1957 e del 1958, furono prodotti circa 10.700 esemplari. Il 1959 fu l’anno della riorganizzazione della gamma: il nome fu cambiato in 211R e la meccanica beneficiò di alcuni aggiornamenti tecnici. La serie venne denominata 200R, nome che poi venne declinato per indicare le varie versioni: 221R per la versione frutteto, 231R per quella vigneto e così via. Successivamente alle due edizioni della serie 200R, la Fiat Trattori presentò nel 1965 la serie 215, ‘restyling’ della precedente con pochi, ma importanti, aggiornamenti meccanici. A seguire arrivò la serie 250 e, infine, la 300. Quest’ultima serie ebbe una vita travagliata, ma interessante in quanto gli esemplari prodotti, anche se frutto del medesimo progetto, si differenziavano notevolmente per la qualità finale e per la componentistica, in funzione dello stabilimento di provenienza. Il trattore Fiat 300, nelle verdi vesti dell’Agrifull, chiuderà la storia”.
B.M.